mercoledì 10 giugno 2009

Da Pericle fin qui




Discorso agli Ateniesi - Pericle, 461 a.C.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pubblicato il 9/5/09 da Francesco sacchi sul Blog di Principia social network

Risposta mia
Bravo Francesco, la scelta di questo testo ti fa onore e fa onore a me esserti amico, spero.
Vista da così lontano questa goccia di storia ateniese "democratica" del V sec.a.C. ci lascia sgomenti. Anche in una società in cui le donne non erano nemmeno considerate cittadine (quindi non avevano né cariche né diritto di voto), e così pure gli stranieri di padre o di madre, in una società in cui esisteva la schiavitù ufficiale e un certo modo di intendere gli altri popoli (vedi l'origine del termine "barbaro", cioè coloro che non parlano greco), alcuni concetti fondamentali erano già fissati in maniera indelebile nel cuore di tutti. Cosa è successo in questa Italia negli ultimi 30 anni da fare in modo che i candidati più votati della lega siano stati uomini di sicuro animo razzista e antidemocratico? Certamente hanno sbagliato coloro i quali hanno ritenuto che la cosa pubblica non fosse interesse di tutti. E invece Pericle (e molti altri ancora meglio e prima di lui) e tu ci fate riflettere sull'intramontabile necessità di essere sempre e comunque cittadini attivi. Così, semplicemente. Senza vergogna. Sono loro che dovranno un giorno vergognarsi.
Bravo Fra'



sabato 6 giugno 2009

Come il primo minuto che viene dopo una guerra (Ivano Fossati)

Quando dietro la curva scomparve l'ultimo carro con le armi io e mia sorella ci stringemmo la mano e tirammo su il naso che colava. Lo facemmo insieme come un segnale. La guerra era finita. Ma cosa era stata? Eravamo cresciuti di mille anni in pochi mesi e avevamo imparato cosa incredibili come camminare vicino ai morti e nemmeno guardarli. Ci sentivamo grandi, forse vecchi e non avevamo ancora 20 anni in due. Con la mano stretta come se ancora ci fosse pericolo uscimmo dalla casa senza tetto e scendemmo alcuni gradini che erano per caso rimasti puliti. Camminavamo ancora abbassati come avevamo imparato. Ma no! Non ce n'era più bisogno. Cominciammo a correre arrivando fino all'angolo del palazzo distrutto dietro il quale era scomparso il carro con le armi. Lei correva più di me perché aveva ancora le due scarpe. Io una. Ci fermammo tre o quattro metri prima dell'angolo per paura di essere visti dagli uomini del carro. Ma non sentivano più i cingoli sulla strada fatta per altri mezzi. Ci affacciammo dietro l'angolo con la memoria che ci premeva sulle tempie da dentro e ci metteva paura. Dietro la casa ora c'era il mare! Non l'avevamo mai visto il mare. Blu come gli occhi della sorella della nonna Maria. E c'era un vento bellissimo che ci lavava la faccia incrostata. Dimenticammo la guerra dopo appena un minuto. Fu il minuto più veloce della nostra vita veloce. Il cuore ci risucchiò il respiro e ci tuffammo. Sapevamo nuotare senza aver mai imparato. E nuotavamo. E nuotavamo. Senza fatica. Le lacrime si confondevano con quelle del mare. Piangevamo per quella tristezza infinita che lasciavamo dietro. Non volemmo tornare indietro. Nuotammo fino alle coste del nuovo mondo e quando uscimmo dall'acqua del mare avevamo la faccia pulita e il cuore quasi leggero. Era passato solo un minuto. Il primo minuto che viene dopo una guerra quando per quattro soldi la musica suona di nuovo, una musica dolce e lontana come il primo addio. Ci prendemmo di nuovo la mano e tirammo su il naso. Insieme. Come un segnale. Ma questa volta ridemmo.