lunedì 3 maggio 2010

Famà

Lo guardo andare via. Si allontana lentamente e mi accorgo che trascina sulla sue spalle una vita di sacrifici e di fatica. Mi appare per la prima volta come un uomo vecchio e mi rendo conto di non averlo mai visto camminare. L'avevo visto sempre seduto e da molto vicino. Oggi lo vedo per la prima volta da lontano, mentre si perde nella folla. Famà sta pensando certamente a quello che è successo fra di noi e custodisce nel taschino della sua camicia di lana a quadroni i 125 euro che gli abbiamo regalato. Io non penso a molto. Riesco solo a capire di aver fatto una cosa importante per tutti e due. Ci siamo ritrovati amici senza conoscerci. Io meno povero di lui e nella mia terra, circondato da decine di amici e persone care che fanno e potranno fare sempre qualcosa per me. Lui, invece, manderà quei soldi immediatamente alla moglie dicendole di non mangiare lei, ma di dare da mangiare ai bambini e alla sua vecchia madra. Capisco che dovrei strapparmi i vestiti di dosso e venderli per dargli tutto quello che posso. La mia situazione economica attuale varia tra i -6.000 e i -10.000 euro da restituire alla banca e alla carta di credito con prospettive di vendita delle mie opere assai dubbie. Forse lui, a conti fatti, è più ricco di me, o meglio meno povero. Ma estremamente più svantaggiato e solo. La voglia di stargli vicino è troppo forte: gli compriamo – Paola ed io – anche 4 collane per 25 euro e gli regaliamo un pacco di biscotti. Mi dice a testa basta che si sta vergognando. Io gli stringo il polso e lo prego di accettare per fare una mattina colazione con qualcosa di buono. Almeno ci saranno i biscotti.
Mentre si allontana con quella camminata che mi ha sorpreso per lentezza e fatica ripenso a come l'ho recuperato. Pensavo di non vederlo più e di non potergli consegnare quella piccola cifra che avevo destinato a lui. Sarebbe stata una cosa incredibile: aver bisogno di soldi e non sapere che qualcuno ti cerca per dartene.
Allah è grande gli ha detto l'altro mio amico Talat,  panettiere egiziano, quando lo ha visto per strada. Lo ha chiamato dalla panetteria che si trova accanto al primo negozio che ho avuto fino a 10 giorni fa, e gli ha chiesto il nome per attuare la mia richiesta di disperato contatto. 
- Come ti chiami? 
- Famà
- Allora va bene. Sei tu. Devi andare a questo indirizzo perché quel signore delle fotografie ha dei soldi per te. Ti aspetta, vuole farti un regalo.
- Ma non scherzare!
- Corri, Allah è grande. Ti aspetta. Vai oggi stesso.
Famà ha preso il bus e mi ha cercato. Gli ha creduto o forse ha creduto nell'idea che si era fatta di me.
L'ho visto dall'interno del nuovo negozio, mentre levigavo una cornice a mano. Si è fermato a guardarmi per essere sicuro che fossi io e poi si è messo sulla vetrina.
Gli sono corso incontro e l'ho abbracciato. La paura di non rivederlo è finita con un abbraccio al quale né lui né io eravamo abituati.
Si siede e prende senza chiedermela una caramella dal vassoio che teniamo per i clienti. Mi piace che si senta libero di farlo. Non trovo le parole migliori e apro il portafogli dicendogli che ho destinato a lui dei soldi da spedire alla famiglia. Dei soldi che alcuni amici avevano raccolto per una lotteria in cui ho messo in palio una mia fotografia. La spiegazione è troppo complessa per il suo italiano ma voglio assicurarmi che lui capisca che sono soldi che io avrei potuto non dargli. Voglio che senta la mia vicinanza. E voglio che capisca che io non sono una persona ricca. Quei soldi per me valgono tanto lo stesso. Non come per lui, ma valgono anche per me. Voglio fargli sentire che sono in quel momento suo fratello maggiore. Famà ha 46 anni, io 50.
La situazione è bizzarra perché io so che si tratta di 100 euro, lui no e non so cosa si aspetti.
Tiro fuori le due banconote da 50 insieme e gliele porgo senza riuscire a guardarlo negli occhi. Io ho più vergogna di lui. Vergogna per tutto il genere umano che si è ridotto a questo schifo. Vergogna perché mi racconta che proprio la mattina la moglie lo ha chiamato al cellulare per dirgli che non aveva più un soldo per sfamare i due ragazzini. Mi chiedo in che condizioni ci siamo ridotti se io devo aiutare uno disgraziato come me e quelli che potrebbero veramente aiutarlo girano la faccia.
Parliamo, parliamo. Cerco di sapere tutto quello che posso. Quanto guadagna un operaio in Senegal (mi dice 200 euro al mese); quanto costa l'affitto fuori Dakar e mi dice che costa anche 40 euro al mese. Cerco di capire per quanto tempo basteranno quei soldi. Ignoro tutto del suo mondo e mi avvilisco perché so bene che la sua vita e quella della sua famiglia sarà difficile sempre. Mi rincuoro quando mi racconta di un bravissimo vigile di San Benedetto del Tronto (dove lui lavora l'estate) che gli è amico e l'aiuta se si caccia nei guai o di una signora di Milano che una volta gli ha regalato 50 euro da mandare ai bambini. Per una città che costruisce grattacieli inutili mi sembra uno schifo. 
È passata oltre mezz'ora l'ufficio per spedire i soldi è ormai chiuso. Li spedirà domani mattina presto. Ora se ne va. Ci abbracciamo di nuovo e lo accompagno alla porta. Non so se lo rivedrò, ma credo di sì. Devo vendere le sue quattro collane e pagargli gli altri 15 euro! 






30/4/2010



2 commenti:

laura a. ha detto...

ieri mentre aspettavo il mio turno per comprare il pane la fornaia si lamentava di non aver soldi per comprare un televisore, e inveiva contro qualcuno che "ha preso tre cose, spendeva quattro euro e gli pareva tanto...pretendono lo scontrino, poi magari escono di qui e danno tre euro al primo imbecille che passa..."
Toccava a me ma avrei voluto scappare, quel pane che ho preso mi è sembrato avvelenato.

Anonimo ha detto...

piango...