lunedì 4 luglio 2011

Ora non è ancora il momento: il viagra e la vagina di cemento.

Unisco nel titolo di questo post tre elementi che, tra gli altri, mi hanno sorpreso e preoccupato al convegno "Donne e non solo, contro gli stereotipi" cui ho assistito oggi 4 luglio 2011 a Milano, indetto da Pari o Dispare. Si presentava il "Manifesto" che varie aziende hanno già sottoscritto, impegnandosi a non produrre più campagne sessiste per reclamizzare i propri prodotti.
Cito a memoria.
1) Anna Maria Testa ci ha spiegato alcune cose già assai note sulla pubblicità sessista e poi ne ha mostrate tre che, secondo lei, erano esempi di buona pubblicità rispettosa. Qui il terreno si fa scivoloso. Già in Francia l'associazione Chiennes de garde aveva deciso, negli anni scorsi, di cancellare il premio per le migliori pubblicità rispettose verso la donna perché, interpretandole da altri punti di vista, decine e decine di persone si sentivano offese anche da quelle vincitrici. Il caso si ripete stamattina davanti almeno a due (per brevità) su tre esempi citati dalla Testa. Il primo è una campagna per il VIAGRA in cui si vede un omino disegnato come sulle etichette delle toilettes che ha tra le gambe un interruttore della corrente sollevato, quindi un pene in erezione. Forza appunto del viagra. L'uditorio ha riso. Nessuna ha pensato davvero su cosa stesse ridendo. Si tratta del farmaco che consente agli uomini, non solo ai vecchietti che non ce la fanno, ma ormai in maggioranza a ragazzi giovani e giovani uomini che non soffrono dell'ansia da prestazione – questo sarebbe già il sintomo di una precaria educazione alla relazione tra generi e all'affettività – ma che vogliono sentirsi gagliardi e tosti molto a lungo come nei film porno, in occasione dei loro incontri sessuali. Ma gagliardi e tosti con chi? Non certo con altri uomini, almeno non nella maggioranza. La pubblicità, a parere mio, è un pessimo esempio di machismo, di volgarità, camuffato con una trovata grafica senz'altro geniale. Quindi attenzione: quella erezione non ci avrebbe dovuto far ridere, ma urlare contro il rinnovarsi ammorbante della cultura del pene che tanta parte ha nello sviluppo della cultura della violenza sulla donna, che pure questa mattina è stata più volte richiamata.
2) Il secondo caso, sempre presentato dalla Testa, è quello della pubblicità Tampax. La scena rappresenta una fotografia aerea in cui campeggia al centro una grandissima diga in cemento armato e, a monte, un magnifico lago blu. Anche qui sorrisi e consensi. Io, invece, rivendico il diritto di dissociarmi, di avere una visione meno allegra del problema e di mettere in risalto alcuni elementi che ritengo inquietanti. Se quella è una pubblicità della Tampax, azienda che produce assorbenti, come tutti sappiamo dalla più tenera età, quel lago immenso è sangue mestruale e la diga una vagina. Le montagne intorno, a pensarci bene, sono due gambe orribilmente allargate. Io inseguo da 35 anni la rappresentazione simbolica nella fotografia d'arte astratta e non faccio fatica a riconoscere questi segni, ma credo che questo scenario simbolico fosse davvero alla portata di tutte. La risata inopportuna sul sangue blu andrebbe allora spiegata alle ragazzine che hanno vergogna e paura del primo mestruo, alle donne che si sentono a disagio, sporche e inadeguate durante il ciclo. E noi che facciamo? Lo trasformiamo addirittura in un lago, in una massa gigantesca di fluidi che dovranno passare per quella diga/vagina in cemento armato. Anche in questo caso l'esempio mi appare quanto meno inadeguato e chiederei maggiore lentezza e riflessione nel presentare soprattutto i casi che riteniamo positivi, perché rischiamo di approvare interi filoni di rappresentazione.
3) L'associazione Pari o Dispare ha ricevuto l'adesione di 40 aziende che hanno sottoscritto l'appello. Una di queste, Ampliphon, ha presentato in sala uno spot che ha registrato l'approvazione implicita del consesso presente. Cito a memoria, proprio per capire cosa mi sia rimasto in mente delle scene viste. L'azione di svolge in discoteca, non una di quella per giovani scatenati ma una sala per adulti, seduti al tavolo ad ascoltare un gruppo musicale. Appunto, la prima inquadratura è significativamente dedicata alla cantante del gruppo che sfoggia un tubino nero molto aderente e si dimena sul palco, tra musicisti uomini. Si passa poi al primo piano in cui vediamo un uomo con una camicia piuttosto sciatta e spettinato che parla ad una donna ben vestita, presentata con la testa tutta chiusa in una gigantesca bolla di sapone. Lei non sente bene, in quanto appunto ipoudente, e lui, l'uomo, le racconta come può risolvere un problema da lui già risolto. Si vede allora l'uomo, questa volta elegantemente vestito (il rispetto per il cliente!), che entra in un negozio Ampliphon, accolto da una venditrice donna che gli calza con mani dolci l'apparecchio sulle orecchie. Poi c'è la scena di lei che fa la stessa cosa ed esce contenta dal negozio. Ebbene, vediamo cosa non mi è piaciuto. La donna che canta sinuosa sul palco: inutile l'inquadratura e si poteva sostituire con un cantante uomo o con un gruppo interamente femminile, vestito più rock e meno seducente. L'uomo sa qualcosa che la donna non sa. Pessimo esempio di machismo. La donna è sempre indietro, non sa niente, ha una bolla di sapone in testa, e ha bisogno dell'uomo che le dia i consigli per risolvere un problema così importante. Si potevano usare: 1) un uomo che consigliava un altro uomo (anche se stiamo parlando della versione femminile dello spot, quella maschile non ce l'hanno mostrata) 2) una donna che consigliava la donna 3) una donna che consigliava un uomo. La scelta, la più maschilista, era proprio la quarta: l'uomo che consiglia una donna. Quando poi c'è da "prendersi cura", ecco apparire la donna commessa che sistema con mani dolci e suadenti l'apparecchio sull'orecchio dell'uomo/cliente. La scena analoga, cioè quella delle mani della donna commessa che sistemano l'apparecchio sull'orecchio della donna non si vede. Questi piccoli segni sono certamente scappati di mano ai creativi, ma occorrerà che per il futuro tutte queste sbavature siano limate per rimanere nel club delle aziende rispettose senza destare fastidi nel pubblico/cliente.
4) Concludo con una cosa più grave, chiedendo scusa in anticipo all'interessata se per caso io non abbia capito bene quanto ha detto. Sto parlando della direttrice generale dell'UPA (che però preferisce farsi chiamare Direttore Generale) che ci ha raccontato un episodio dai contorni assai preoccupanti: l'UPA organizza ogni anno un master in comunicazione pubblicitaria a Venezia per il quale hanno a disposizione 30 posti. Ricevono mediamente 100 domande da candidati e 100 da candidate, quindi la selezione è abbastanza dura. Dopo aver espresso ancora una volta le lodi delle ragazze che sono più brave a scuola e nei concorsi e lamentato ancora una volta la loro difficoltà nell'emergere nel mondo del lavoro, ci ha candidamente dichiarato (e qui vorrei una conferma) che una volta scrutinati i compiti e i test il risultato vorrebbe vincitrici 70 donne e 30 uomini ma.... Colpo di scena! In nome di non si sa bene cosa, le graduatorie vengono "riconsiderate" e il numero dei vincitori messo "a pari opportunità": 15 e 15. Non so se ho capito bene ma finora me la sono cavata con le orecchie.
Tutto questo per dire che il terreno della comunicazione pubblicitaria non è cosa semplice e che il confronto va fatto con quelli che sono più "estremi" di noi, non con coloro che ci rassicurano sulle nostre tesi. Il sessismo è un animale infido e la sua tolleranza inconscia da parte delle donne, anche di quelle progressiste, è un atteggiamento ancora troppo diffuso per sperare in risultati concreti. Mi piacerebbe che tutte esagerassero un po', per un periodo iniziale, nel segno del rispetto massimo di tutte le persone che potrebbero essere urtate dalle campagne, specialmente quelle stradali che sono a fruizione obbligatoria. Mi piacerebbe allora che Emma Bonino, per me una luce nel panorama politico, ma anche umano, del paese, usasse tutta la sua forza comunicativa per alzare il livello dell'analisi e chiedere a tutte di non accontentarsi di letture "morbide". Le aziende che vorranno firmare l'ottimo manifesto dovranno dare veramente prova di essere severe ed esigenti verso se stesse. Solo allora potremo cominciare a sorridere. Ora non è ancora il momento.

Ico Gasparri
4 luglio 2011